Dove sono finite le donne.!?

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Luciana Tufani Editrice
Leggere Donna
nuova serie n. 143
nov.-dic. 2009

Tra le molte anomalie che hanno segnato la vita politica del nostro paese nella torrida estate che ci siamo da poco lasciata alle spalle, mi ha particolarmente colpito il silenzio delle donne. Possibile che in momenti così delicati e difficili, l'unico modo per far parlare di sé sia di essere vittime o veline? Vittime possibilmente di stupri e comunque di delitti passionali, con tanto sangue per favore, oppure veline o meglio escort, parola che fino a poco tempo fa richiamava solo l'immagine di un'automobile Ford. Usata invece per definire uno dei mestieri più antichi del mondo
Tranquille, o forse attonite, le donne italiane sembrano in gran parte accettare senza farsi eccessivi problemi lo svilimento della figura e del ruolo femminile. In questa calma piatta é stato quindi particolarmente gradevole udire il suono di qualche voce discordante che si alzava con incisiva chiarezza, esponendo finalmente pochi semplici ma fondamentali concetti, ricordandoci che davanti agli eventi gravi le donne si sono da sempre mobilitate e richiamando l'attenzione su problemi che sembravano rimossi: le relazioni tra sesso e potere, la ricerca di modelli diversi, il rapporto con il corpo, oltre ai grandi temi del femminismo storico, lavoro, scuola, partecipazione politica.
Dai locali e poi dalle pagine dell'Unità, unico grande quotidiano italiano diretto da una donna, Nadia Urbinati docente di Teoria politica alla Columbia University e al Sant'Anna di Pisa ha organizzato un forum sul "silenzio delle donne". Vi hanno partecipato scrittrici, giornaliste, parlamentari, che si sono riunite parlando finalmente di questi argomenti con la libertà di un gruppo di amiche, riunite intorno a un tavolo assieme alla direttrice (non direttore Concita, ti prego!) De Gregorio.
Dallo schermo del mio computer ho seguito finalmente con gusto un dibattito vivace, animato da otto donne intelligenti e preparate ma sempre con la netta sensazione di assistere a un evento limitato ed elitario, sfuggito all'attenzione della maggioranza del pubblico femminile.
Da quello stesso piccolo miracoloso schermo pochi giorni fa, durante una ricerca per un mio lavoro sui movimenti femminili ai primi del '900, sono emerse delle immagini che mi hanno sorpresa ed emozionata. Nella biblioteca, tutta on line, dell'università dell'Illinois é conservato il rapporto sul Congresso internazionale delle donne a L'Aia dell'aprile del 1915, un libro redatto in inglese, francese e tedesco, le tre lingue ufficiali dei lavori, corredato da bellissime fotografie.
Rappresentano un teatro gremito di congressiste in sessione, donne venute a proprie spese da tutti i paesi europei e dagli stati Uniti, provenienti spesso da nazioni in guerra e da situazioni di grave disagio, come l'armena Mme.Thoumaian che appare, indossando con orgoglio il costume tradizionale del suo martoriato paese, nello scatto che ci presenta il palco con le quindici rappresentanti del comitato direttivo. Dopo di lei, che é la prima a sinistra, compaiono tutti i grandi nomi del femminismo internazionale del periodo, da Aletta Jacobs, responsabile del comitato organizzativo olandese, all'americana Jane Addams, presidente del congresso, fino all'italiana Rosa Genoni, quart'ultima da destra. Sedute in fila dietro un lungo tavolo, decorato con mazzi di fiori e splendide kenzie alle spalle che basterebbero da sole a darci un'indicazione sulla località e sulla stagione in cui si svolsero i lavori, le Signore guardano il folto pubblico con evidente smarrimento, non avvezze a parlare davanti a tante spettatrici, ma decise ad esporre il proprio pensiero.
Si trattava di un pubblico tutto al femminile, 1136 delegate di dodici diverse nazionalità, più circa 700 ospiti e tante altre anonime ma attente spettatrici; una partecipazione impressionante, valutati i costi e le difficoltà del periodo.
Cosa é rimasto oggi dell'entusiasmo con cui le nostre nonne e bisnonne affrontavano la vita pubblica e politica?
Il convegno era incentrato su due punti focali: il suffragio femminile e l'uso di arbitrati neutrali per risolvere le controversie internazionali. La guerra che stava dilagando da qualche mese in tutto il mondo aveva infatti imposto il tema del pacifismo all'attenzione di tutte le donne interessate ai temi etici e politici.
Sotto la guida di Jane Addams, figura carismatica e icona del movimento femminista americano, la conferenza preparò e approvò una risoluzione finale in cui oltre alla condanna assoluta della guerra venivano proposte 18 raccomandazioni finali, atte a preparare e mantenere la pace futura. Tra esse spiccavano l'introduzione di una commissione mista di arbitraggio, il disarmo, l'uguaglianza di diritti tra uomini e donne, la libertà di commercio per mare e per terra. La somiglianza di molte di queste proposte con i 14 punti che il presidente Wilson stilò nel 1918 era evidente e non è stata mai abbastanza sottolineata.
Il documento finale fu poi inviato a tutti i principali capi di stato, con i risultati che purtroppo possiamo ben immaginare, ma la Addams e la Jacobs proseguirono con altre amiche e compagne nel loro lavoro senza perdere le speranze. Nel 1919 a Zurigo grazie al loro impegno nacque Il WILPF, Women's International League of Peace and Freedom, una importante associazione pacifista tuttora in vita, con sede a Ginevra e con sezioni in tutto il mondo, Italia compresa.
É proprio con un breve richiamo biografico alle principali protagoniste di questa storia che vorrei chiudere queste mie note.
Aletta Jacobs era la più anziana; nata nel 1854 da una vecchia famiglia di medici fu la prima donna in Olanda a laurearsi in medicina e ad occuparsi di contraccezione. Sempre attiva nella professione e nei movimenti femministi fu l'anima organizzativa del Congresso dell'Aia; colta ed intelligente, insieme al marito G.V. Gerritsen mise insieme una raccolta di libri, pamphlets, periodici riguardanti il movimento femminista che é tuttoggi considerata la più ricca ed interessante esistente. (É consultabile on line: Gerristen collection of Women's History Online, 1543-1945)
Jane Addams invece era nata nel cuore profondo degli Stati Uniti nel 1860; nel 1889 fondò a Chicago la Hull Hause, un centro di sussidio e di servizi per i poveri della città ed in seguito iniziò la sua militanza sia nel movimento femminista che in quello pacifista. Si attivò per tutta la vita a favore della pace nel mondo, dei diritti delle donne e delle cause umanitarie, fu a lungo presidente del WILPF e si occupò anche di diritto del lavoro e di lotta al razzismo, fondando la National Association for the Advancement of Coloured People. Nel 1923 compì un giro del mondo, per sostenere i principi in cui credeva, facendo conferenze anche in India e Giappone; nel 1931 fu insignita del Nobel per la pace.
A un secolo di distanza dai giorni del loro impegno cosa ne é stato di tante speranze?
I diritti acquisiti ed ereditati dalle ave suffragette e dalle madri sessantottine dovrebbero esser difesi con maggiore accanimento; sono stati appunto ereditati, ma questo non significa che siano ereditari e forse di questi tempi sarebbe utile trovare il tempo e la voglia di tornare in piazza, per contarci e per contare.