Vita Sackville West

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Con l’arrivo della bella stagione tutti gli amanti del giardinaggio, i fortunati possessori di un terrazzo o di un pezzetto di terreno da illuminare con qualche colorata fioritura, si rimettono in attività. È un inizio gioioso pieno di aspettative che col procedere dei mesi si stempera poi nella normale routine, un periodo in cui i veri appassionati tornano a frequentare i garden center, a sfogliare i cataloghi dei vivai, a rileggersi quei tre o quattro libri che formano la Bibbia dei giardinieri. Tra questi occupa un posto d’onore la raccolta di articoli che Vita Sackville West scrisse per la rubrica “In your garden” che tenne sull’Observer dal 1946 al 1961.

Pubblicato per la prima volta in Italia nel 1991 per “il corvo e la colomba”, la raffinata collana diretta da Ippolito Pizzetti e presto esaurito, è stato fortunatamente ristampato qualche mese fa da Franco Muzzio. Ho scritto fortunatamente con ragion di causa, perchè si tratta nel suo genere di un piccolo capolavoro, per la brillantezza della scrittura, per la validità del contenuto e soprattutto per il garbo e piacevolezza con cui l’autrice si rivolge al lettore.
Del resto sappiamo bene che Miss Vita, come la chiamò sempre il vecchio giardiniere capo di Sissinghurst, la tenuta dove in collaborazione con il marito impiantò il più famoso giardino d’Inghilterra, era in tutti i sensi una gran signora.
Figlia unica del terzo barone di Sackville, nacque nel 1892 a Knole Hause, un immenso castello elisabettiano ritenuto con le sue 360 stanze la più grande residenza privata inglese.
Nel 1913 sposò Harold Nicolson, più per soddisfare un dovere sociale ed anche il proprio desiderio di maternità che per vera passione; fin dall’adolescenza Vita aveva infatti manifestato una chiara preferenza per le amicizie femminili. Ciò nonostante il matrimonio funzionò; Harold, anche lui bisessuale, si dimostrò comprensivo verso le relazioni lesbiche di sua moglie e la loro unione “aperta” durò nel tempo, come testimonia la loro fitta corrispondenza personale, pubblicata dopo la loro morte dal figlio Nigel. (
Vita ed Harold. Lettere di Vita Sackville West e Harold Nicolson, Archinto, 1994).
Con Harold, giornalista, membro del Parlamento e diplomatico, aveva in comune non solo la cura dei due figli, ma anche la passione per i viaggi, l’interesse per la botanica, il gusto delle cose belle, l’arredamento, l’antiquariato, i giardini ed infine, last but not least, la letteratura.
Nel 1930, di ritorno dal lungo soggiorno in Persia dove Harold era stato ambasciatore, comprarono il piccolo castello di Sissinghurst nella contea del Kent, il giardino d’Inghilterra. Insieme decisero di trasformare il terreno circostante in un parco.
Vita aveva solo 38 anni, suo marito pochi di più, ma già possedevano un’ampia esperienza come botanici e giardinieri. Inoltre entrambi dovevano molto ai loro viaggi e all’amore per la pittura e la letteratura.
Sono ben pochi oggi i disegnatori di giardini di buona cultura abituati a letture che non siano solo quelle dei cataloghi dei vivai. I Nicolson invece conoscevano i giardini mediterranei, la Francia, la Spagna, l’Italia e avevano già creato il loro primo giardino a Costantinopoli.
La passione per le piante, fossero alberi o semplici cespugli, bulbose o perenni ed il gusto di combinare assieme forme e colori inspirò il loro lavoro. Di tutti gli impianti, i tentativi, i successi ed i fallimenti entrambi tennero un accurato diario.
My life’s work, lo intitolò Harold, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a terminarlo; la loro creatura, il grande giardino a stanze di Sissinghurst, era infatti in continua evoluzione.
Nel 1939, fu aperto al pubblico, che al modico prezzo di uno scellino, poteva così finalmente ammirare le enormi bordure miste, il roseto, il rondel, il viale dei noccioli, il celebre giardino bianco. Quest’ultimo era frutto della fantasia di Vita, che l’aveva sognato in una notte invernale, sotto un manto nevoso. Aveva scritto:
“But still she knew that she would not make an end
of setting her plants before the shroud came round her...”

Con i visitatori, quando le accadeva d’incontrarli si comportava con il garbo e la classe che le erano congeniali.
“Più di tutti apprezzo le anime solitarie che percorrono cinquanta miglia in autobus con un fox terrier al guinzaglio, che si fermano a studiare le etichette, che prendono appunti sopra un blocchetto da un penny... Tra loro e me sopravvive una particolare forma di cortesia, una cortesia tra giardinieri in un mondo in cui la gentilezza sta cedendo il passo a modi più rozzi.”
Anche quando scriveva i pezzi per la rubrica settimanale che per 15 anni entusiasmò i lettori dell’Observer, non perdeva mai di vista il fatto che il suo pubblico era in maggioranza formato da gente modesta che quasi sempre possedeva solo un fazzoletto di terra. Non era mai esistita una rubrica simile; i suoi articoli venivano letti da migliaia di appassionati non solo per le informazioni che ne ricavavano ma anche perchè erano vivaci, eleganti e pervasi ora da una vena sottile di umorismo, ora da un raffinato tono sentimentale. In una sola parola erano ben scritti.
“I bambini hanno la capacità di formulare domande apparentemente semplici per le quali non esiste risposta. Mi è stato chiesto: - Qual’è il tuo fiore preferito? – Sembrava quasi spontaneo rispondere: - Qualsiasi fiore, a turno, quando si trova nella stagione giusta - ”
“Un altro errore che ho commesso è stato quello di mischiare la varietà bianca con il timo rosso e porpora. Il risultato ricordava troppo un rappezzo. Un tappeto di solo rosso, porpora e malva sarebbe stato più omogeneo. O perlomeno così ritengo. Altri potrebbero dissentire.”
“Passeri... Hanno l’abitudine di beccar via i boccioli, perciò stendete sulle piante una vecchia rete da frutta in ottobre e novembre, quando si stanno formando i fiori. Quest’anno i passeri si sono accaniti contro il mio calicanto d’inverno come non hanno mai fatto prima; una birichinata in perfetta regola, una forma aviaria di delinquenza giovanile. Perciò seguite il mio consiglio...”
Queste brevi citazioni parlano da sole; la grazia e la spontaneità della scrittura balzano agli occhi.
Ma se il rapporto con Harold funzionava efficacemente nella gestione della vita pratica, sostenuto dalla comunanza di gusti e d’interessi, era però con le donne che Vita trovava una totale affinità sentimentale e sessuale.
Due in particolare furono importanti nella sua esistenza, Violet Trefusis e Virginia Woolf. Entrambe grandi scrittrici e gran dame come lei, con lei formarono un insolito triangolo amoroso, un’ambigua e tormentata relazione al cui interno vita e arte, realtà e finzione s’intrecciavano sottilmente.
Nel decennio in cui durò questo sodalizio tutte e tre raggiunsero i vertici della propria produzione letteraria. Nel 1928 uscì
Broderie Anglaise della Trefusis, “penna di platino con un pennino di smeraldo”, da noi poco noto ma fresco di stampa (gennaio 2010) per le Edizioni La Lepre. Nel ’30 fu pubblicato il primo romanzo importante di Vita, The Edwardians, presentato in Italia col bizzarro titolo La signora scostumata, purtroppo attualmente introvabile, sia on line che in libreria. Nel ’31, in rapida successione, vide la luce il suo capolavoro, Ogni passione spenta, seguito pochi anni dopo da Orlando di Virginia Woolf. Con Orlando si raggiunge il massimo valore artistico ed il libro è sicuramente il vincitore della gara che le tre scrittrici avevano inconsciamente ingaggiato. Fu Vita stessa ad ispirare a Virginia l’ambiguo protagonista e la scena del romanzo è proprio il castello avito di lei, la grande magione di Knole.
All passion spent, Ogni passione spenta però a mio parere regge assai bene il confronto, pur trattandosi di tutt’altra cosa, in un ben diverso stile.
È un romanzo che io ho amato fin dalla mia adolescenza, quando lo trovai nella biblioteca di mio padre in una vecchia edizione della Medusa (storica copertina verde, datata 1942, pessima traduzione, ma quest’ultima osservazione è recente!).
Non sapevo nulla dell’autrice e lo lessi d’un fiato, come si legge da ragazzi, senza curarmene, interessata solo alla storia che narrava. Il modo migliore, in fondo, per leggere un libro.
È la storia di una gran dama, che a ottantotto anni, dopo la morte del marito, ex vicerè dell’India, decide di riprendere in mano la sua vita, ignorando le interessate preoccupazioni dei figli e le convenzioni che la sua classe sociale le imporrebbe. Si trasferisce quindi in una villetta di periferia con un piccolo giardino, desiderosa di restarvi in pace, lontana dal trambusto della sua numerosa famiglia. Per pochi mesi, fino al suo ultimo traguardo, si ritroverà a respirare una libertà sconosciuta e sull’onda dei ricordi riscoprirà se stessa, riflettendo sui suoi sogni irrealizzati, sulla sua vita passata e sulle rinunce che le sono costate l’apparente serenità e realizzazione raggiunte.
In tutto il racconto appare vivida e intensa la riflessione sul destino delle donne, sul loro scarso potere di controllare la propria vita; nei ricordi di Lady Slane la critica al vecchio sistema che ancora ai primi del ‘900 relegava le donne a ruoli subalterni cede il posto alla rivendicazione del loro libero arbitrio. Con eleganza e dolcezza l’anziana signora affronta la fine a testa alta, con la stessa leggiadria con cui ha attraversato la vita.
Ci sono nella descrizione della vecchiaia una sensibilità ed un garbo che sorprendono, ancor più tenendo conto che il libro è stato scritto da una autrice trentottenne, ma tutto il romanzo, così tipicamente inglese, si snoda agevolmente, senza risultare appesantito dai numerosi, ma necessari flashback. L’anticonformismo di cui è permeato ci riporta al milieu culturale in cui Vita visse e creò le sue opere, quel Circolo di Bloomsbury il cui spirito di rottura col passato fu un seme fecondo per la letteratura inglese degli anni Trenta.