Ester Rizzo - Camicette bianche, oltre l'8 marzo

Camicette bianche Navarra Editore, 2014
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 165) - ott-nov.dic 2014

Il 25 marzo del 1911, a New York, scoppiò un incendio all’ottavo e nono piano dell’Asch Building, nei locali di una fabbrica di camicie, la Triangle Waist Company, che occupava la parte alta di un palazzone di Manhattan. La situazione apparve subito disperata: il materiale era altamente infiammabile, le scale furono presto impraticabili e nonostante gli sforzi degli addetti all’ascensore che riuscirono a far scendere in salvo diverse decine di persone, la maggioranza dei lavoratori presenti, quasi tutte donne, si trovarono presto intrappolate dietro un muro di fuoco.

Le più fortunate morirono per asfissia, ma molte bruciarono come torce con i vestiti in fiamme, o si buttarono per disperazione dalle finestre. Neanche l’arrivo dei pompieri fu risolutivo, le scale arrivavano solo fino al sesto piano, e la folla che si era accalcata sotto il palazzo assistette impotente all’atroce spettacolo delle operaie che cadevano giù dalle finestre, simili a tragiche comete. Urlavano, come la gente che tentava invano con teli di fortuna di attutirne la caduta.
Ci furono un centinaio di superstiti e ben 146 morti. Di questi 128 erano donne, 38 di origine italiana.
In questo bel libro, a metà tra saggio e inchiesta giornalistica, Ester Rizzo ricostruisce la loro storia, grazie a una indagine minuziosa e accurata, avvalendosi dei documenti originali dell’epoca, arricchiti con quelli ritrovati nei comuni di nascita, partendo dalla Sicilia, dalla sua Licata, allargando poi la ricerca a tutta Italia.
Si è trattato di un lavoro compiuto con rispetto e amore verso le giovani vite spezzate più di un secolo fa, verso le donne che ancora oggi lottano e lavorano per la sopravvivenza e contro le discriminazioni, ma anche per i migranti di tutti i tempi e di tutti i mari. Belle e attualissime sono infatti le pagine su Ellis Island, per ricordarci la nostra storia, tanto in fretta dimentica ora che tocca a noi accogliere i poveri e i disperati del sud del mondo. Di lì erano passate Clotilde, Caterina, Rosaria, Lucia e tutte le altre che avevano affidato le loro speranze e il loro futuro alle acque di un oceano, come oggi le tante Zaira, Fatima, Muna.
Al processo i proprietari della fabbrica furono assolti, ma il tragico incidente servì comunque da stimolo al Congresso per varare nel 1912 diverse leggi a tutela del lavoro femminile.
Oggi l’Asch Building esiste ancora ed è noto come Brown Building, sede di una facoltà della N.Y. University.
Il Gruppo Toponomastica Femminile e l’editore Navarra, prendendo spunto dalle storie narrate in questo libro, hanno lanciato un appello a tutti i comuni che hanno dato i natali a una di queste donne, affinchè venga loro intitolata una strada, un giardino o un altro luogo pubblico. Per andare oltre l’8 marzo e restituire una memoria concreta a queste lavoratrici e per dare ai giovani un segnale positivo, evidenziando che il lavoro è fatica, ma che non deve mai trasformarsi in sfruttamento e violenza calpestando i diritti di chi lo compie. E a questo punto non si può non tornare col pensiero al doloroso incidente della fabbrica indiana andata a fuoco lo scorso anno col suo terribile pedaggio di vite umane di donne e ragazze chine sulle macchine da cucire per conto dei grandi marchi europei, esattamente come cent’anni fa dall’altra parte del mare.