Francesca Spano, Il libretto viola

il libretto viola
Iacobelli, Roma, 2010

Recensione: Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 152)
luglio-sett 2011


Ho letto con intensa partecipazione questo piccolo libro di Francesca Spano e l’ho chiuso col rammarico che la sua morte improvvisa le abbia impedito per sempre di trasmetterci altri racconti, di narrarci altre storie di vita, lavoro a cui si era solo da poco dedicata. Succede spesso infatti che si inizi a scrivere quando, superata la piena maturità, si sente la necessità dei primi bilanci, ma purtroppo con lei il tempo è stato tiranno.
Francesca, nata nel 50’, apparteneva a una generazione di donne che ha attraversato esperienze complesse nel politico, nel personale e nel sociale e le sue origini familiari hanno ulteriormente contribuito ad accrescere di contenuti il suo background. Proveniva infatti da una famiglia particolare; i genitori, parlamentari e dirigenti del Pci, erano stati entrambi tra i Costituenti, ed il livello culturale e d’impegno politico dell’ambiente in cui crebbe furono decisamente superiori alla media.
Il Libretto Viola raccoglie 6 pezzi trovati sul pc dai famigliari subito dopo la sua morte; quasi tutti ancora incompleti, tranne il primo, il più lungo con il titolo “A Flowery Stream of Memories”.
E un lungo racconto, sicuramente il migliore della raccolta, in cui Francesca fa un commosso bilancio della propria vita. A cinquant’anni ha finalmente comprato una casa con il giardino, scoprendo con grande ritardo i benefici effetti esercitati dalla cura delle piante sulla nostra psiche. Pulire, rastrellare, sarchiare, preparando il terreno ad accogliere nuova vita, e poi bagnare, potare, seguire la crescita delle nuove piantine, equivale al lavoro di scavo e riordino del nostro essere più profondo, aiuta a far chiarezza e a rappacificarsi con noi stessi.
Francesca guarda indietro, si rivede bambina e poi adolescente nella Roma dei primi anni ‘60 (come era bella, come l’abbiamo amata e quanto ora la rimpiangiamo, noi tutti che avemmo l’avventura di viverci allora). Le figure dei genitori, così importanti per la sua formazione, emergono nitide dal suo racconto, soprattutto la madre Nadia, che era di origini ebraiche, a cui è poi dedicato l’ultimo brano di questa raccolta “Una donna molto intelligente”.
Erano gli anni immediatamente precedenti il ’68 e già forti correnti agitavano il mondo giovanile.
Quattordicenne Francesca si iscrive alla Fgci. Oggi le sezioni del Partito non esistono più e i giovani non sanno nulla di quel che ha significato per la generazione degli anni ’40-50 la Federazione Giovanile, nulla della Tendenza, del Frazionismo, che era ritenuto dai capi del partito la malattia più perniciosa, da curarsi con drastici tagli, le temute “radiazioni” che allontanarono tanti ragazzi dal Pci.
Erano gli anni delle grandi manifestazioni politiche, per il Congo, l’Algeria, la Spagna. Oggi sembra preistoria, ma in quanti eravamo in piazza Mignanelli davanti all’ambasciata franchista protetta dalle camionette dei celerini, a gridare insieme “libera Spagna!”
Fu invece nel decennio successivo che ai primi ripensamenti successe la dolorosa scoperta di una realtà diversa da quel che ci si aspettava; in molti ripiegarono sempre più sul privato, ma senza rinunciare a battersi per i propri principi.
Iniziava la stagione delle lotte per i diritti civili, la grande stagione del femminismo militante. Ma per Francesca fu anche il periodo della scoperta di una spiritualità diversa, che culminò dopo un lungo percorso con la sua adesione alla religione valdese. Ho scritto adesione, non conversione, non a caso perchè i legami con l’ebraismo materno non li recise mai del tutto e scelse quindi di non farsi battezzare.
Il racconto “La magia di Agape” è una riflessione appassionata sull’esperienza vissuta nei luoghi cari alla comunità valdese. Infatti nel ’74 Francesca decise di trasferirsi definitivamente nelle valli valdesi, iniziò ad insegnare nel liceo di Pinerolo, si sposò e quei luoghi divennero il punto fermo intorno al quale ruotava tutta la sua esistenza.
I viaggi da allora furono per lei soprattutto viaggi mentali, attraverso i molteplici interessi che hanno strutturato la sua vita. Sei viaggi, come scrive Francesca: quello nella politica, nella psicoanalisi, nel protestantesimo, nel femminismo, nell’ebraismo e nel... ecco c’è un viaggio mancante. Probabilmente il più significativo di tutti, ma così personale da non poterlo condividere con gli altri.