A. Politkovskaja - Cecenia, il disonore russo

Con l’introduzione di Roberto Saviano

Editore:
Fandango, 2009
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 146)
marzo-aprile 2010

“Una pallottola nella testa è il modo più semplice e naturale di risolvere qualsiasi conflitto. Induriti dalla guerra proviamo odio molto più spesso che amore.”
Tre anni dopo aver scritto questa frase Anna Politkovskaja è stata lei stessa assassinata con quattro colpi d’arma da fuoco, l’ultimo proprio nella testa, a Mosca, nell’ascensore di casa. Accanto al suo corpo, rovesciate per terra, c’erano tre buste contenenti la spesa che aveva appena fatto nel vicino supermercato.
La morte ha quindi colto in un atteggiamento domestico, familiare, tipicamente femminile, questa donna che per tutta la vita aveva invece dimostrato un coraggio e un impegno più che virili, nel senso migliore del termine; una vita spesa per “descrivere quello che succede a chi non può vederlo”.
Pochi giorni dopo l’omicidio sarebbe stata pubblicata sulle colonne del suo giornale, la Novaja Gazeta, una inchiesta sconvolgente sulle torture e le violenze di ogni genere perpetrate in Cecenia dai Russi e dalle milizie filosovietiche.
Dopo il primo viaggio a Grozny, nel 1998, Anna aveva infatti trascorso molto tempo nella regione, raccogliendo foto e testimonianze sulle atrocità commesse, svelando gli intrighi che ne animavano la vita politica e puntando il dito verso l’esercito russo, il governo Putin ed i suoi accoliti locali. Ahmad e Ramzan Kadyron, potenti signori della guerra, padri padroni della Cecenia devastata e terrorizzata dalle loro milizie private, erano tra i suoi bersagli e la ricambiavano con minacce e violente ritorsioni. Fortunosamente Anna nel 2001 sfuggì alla morte per avvelenamento e per qualche tempo dovette riparare a Vienna.
Testimone scomoda dei misfatti della Russia postsovietica, cercò sempre di far luce sui tanti lati oscuri, senza tirarsi indietro anche nei periodi più drammatici, come durante il sequestro degli ostaggi al teatro Dubroka, o dei bambini della scuola di Beslan.
Come scrive Roberto Saviano nella bella introduzione al suo libro più noto “Cecenia, il disonore russo” che ci è stato appena riproposto dalle edizioni Fandango, per i suoi nemici l’obiettivo era sfiancarla. Le trasferte le venivano pagate 30 dollari, non solo non c’era nessun guadagno, ma la maggior parte dello stipendio se ne andava per difendersi dalle querele e denunce che la perseguitavano. Diffamarla, distruggere la sua immagine erano infatti le parole d’ordine prima che si arrivasse alla terribile decisione di sopprimerla fisicamente.
Anna sapeva quello che l’attendeva, ma non volle cedere davanti alle minacce. Dal 1999 continuò a visitare la Cecenia e articolo dopo articolo mise insieme questo libro, che ci apre una illuminante finestra sulle condizioni e la fisiologia dei conflitti moderni, abominevoli e feroci eppure nascosti e spesso mal percepiti dall’opinione pubblica.
Chi vive altrove forse non vuol sapere, comunque è certo che i veri responsabili fanno di tutto per tenerci all’oscuro di una realtà talmente cupa che anche dinnanzi a precise testimonianze stentiamo ad accettarla.
“A volte passeggio tra le rovine della capitale cecena. Parlo con i suoi abitanti, li guardo negli occhi, ripenso alle loro storie e mi rendo conto che la mia mente rifiuta di credergli, contesta, respinge i loro racconti. Semplicemente per proteggersi. Vorrei non farmi contaminare...”
La perdita del senso morale davanti all’orrore, i motivi che trasformano un ragazzo qualunque in un assassino o in uno stupratore, sono indagati con doloroso acume.
“Nessuno può sapere ciò di cui sarebbe capace in guerra... Dopo un certo periodo, in mancanza di risposte ragionevoli, la coscienza comincia a disgregarsi come un fungo marcio e la mente finisce in un vicolo cieco. Tuttavia non è follia, è un fenomeno diverso. È come se tutti i pilastri che hanno sostenuto la tua vita fossero crollati. Comincia con l’impressione che potresti permetterti qualcosa in più di prima... all’inizio pensi ancora a quel “qualcosa” poi il meccanismo che ti trattiene si allenta e sprofondi ogni giorno di più. È raro che qualcuno vi resista.”
L’assopimento delle coscienze è quindi un crimine spaventoso di cui tutta la società russa pagherà a lungo le conseguenze.
In questi anni di guerra, scriveva desolata la Politkovskaja, è stata allevata una tale quantità di assassini cinici da poter soddisfare il bisogno di sicari del pianeta intero.
La colpa di tutto questo per lei era ovviamente del governo russo che sotto la guida del presidente Putin ha trascinato il paese in un “buco nero”, incoraggiando la delazione, proteggendo le brigate criminali russo-cecene, minacciando la stampa, rendendo lecito l’uso della tortura, tollerando finanche il traffico dei cadaveri.
Questo libro ha quindi il grande merito di presentarci un reportage preciso sulla realtà quotidiana del conflitto, ma anche quello di dargli un senso. Ci spiega infatti non solo come questa tragedia abbia attraversato e permeato tutta la società russa, ma come esprima una tendenza che è oggi in essa intrinseca. In qualche modo quindi quest’opera sorpassa il Caucaso e l’analisi dell’autrice può essere applicata alle altre moderne guerre “coloniali” che devastano la terra.