G. De Angelis - Le donne e la Shoah

Prefazione di Anna Foa

Editore: Avagliano - Roma, 2007
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 131)
novembre-dicembre 2007

Questo libro di Giovanna De Angelis, tra quanti nel nostro paese hanno di recente affrontato il difficile tema della Shoah, mostra un’evidente originalità d’impostazione e d’approccio all’argomento trattato, che è quello della condizione femminile all’interno del lager.
La tragedia dello sterminio è infatti studiata attraverso la lente del genere, in questo caso il sesso femminile, nella sua particolare specificità; ciò ovviamente senza voler nulla togliere alla fondamentale caratteristica di unitarietà della Shoah, che travolse in egual misura uomini e donne, vecchi e bambini di ogni provenienza, classe sociale e livello culturale.
Eppure delle differenze ci furono, come sottolinea giustamente l’autrice, fin dalle prime ore di prigionia se, come ben sappiamo, appena scese dai treni blindati lungo i binari della ferrovia, alla prima selezione delle SS le donne che venivano giudicate inabili al lavoro e mandate immediatamente a morire erano in numero assai maggiore degli uomini. Molte di loro poi, portavano con se i bambini, le madri, gli anziani ed anche le più “fortunate”, quelle che furono valutate in grado di affrontare il lavoro forzato e subito inviate nei campi, dovettero subire il trauma lacerante della separazione dai propri cari.
Come fosse per loro la vita nei lager ci è stato descritto da diverse opere di memorialistica pubblicate nel dopoguerra; in Italia cinque donne ebree, reduci tutte da Birkenau, hanno voluto testimoniare in altrettanti libri la propria esperienza. Particolarmente significativo è quello di Giuliana Tedeschi, Questo povero corpo, a cui l’autrice fa spesso riferimento, insieme ai diari di Etty Hillesum e alle lettere di Gertud Kolmar, un’olandese e una tedesca, dandoci così uno spaccato di respiro europeo del dolente universo femminile nei campi di concentramento.
Che le situazioni più sofferte fossero, specialmente per le donne, la continua violazione del pudore, l’esposizione al dileggio, la violenza fisica che culminava nella tragedia degli aborti e degli esperimenti medici a cui vennero costrette in numero assai maggiore degli uomini, è cosa nota.
Scrive la De Angelis: “Lo spazio che queste donne hanno abitato era violentemente connotato da uno strazio del corpo, da un suo costante stato di perdita…Ma il corpo violato, la dissoluzione di un intero universo interiore di riferimento, condussero all’attivarsi di un’ulteriore dimensione conoscitiva di se e del mondo.”
In molte testimonianze femminili si descrive quindi come benefico o addirittura fondamentale per la sopravvivenza l’esercizio della solidarietà tra donne, fatto di piccoli gesti quotidiani volti a rendere appena piú lieve l’angoscia o a rievocare momenti di vita civile in cui ancora esisteva la dignità.
Ma accanto a donne come la Tedeschi, che ha scritto: “Le donne sono maglie, se una si perde si perdono tutte; lá dentro almeno era così”, altre hanno proposto testimonianze di segno opposto.
Sostiene ad esempio Liliana Segre: “I sommersi erano uguali, uomini e donne.”
Ancor più duramente si esprime Edith Bruck: “Nei campi le donne si comportavano assai peggio degli uomini…ci tenevano a dimostrare che potevano superarli nell’esercizio del male.”
Proprio attraverso la lettura dei suoi scritti, poesie, racconti e romanzi, nell’ultima parte del libro la De Angelis affronta questo diverso modo di considerare la condizione femminile, confrontandosi con una visione totalmente negativa della natura umana.
Tutto il lavoro della Bruck, scrittrice apolide che ha scelto di vivere in Italia e di scrivere nella nostra lingua è infatti incentrato sulla tragica esperienza del lager di cui anche nella vita ha scelto di dare testimonianza, testimonianza amara e sconvolgente di una sconfitta dell’umanità da cui per lei è escluso ogni spiraglio di speranza.