Almudena Grandes - Il ragazzo che leggeva Verne

almudena grandes
Il ragazzo che leggeva Verne
Guanda, Parma, 2012, traduzione di Roberta Bovaia.


A poca distanza dall’uscita di Ines e l’allegria, ecco l’ultimo lavoro di Almudena Grandes, Il ragazzo che leggeva Verne, secondo libro di una serie di sei romanzi indipendenti, ma legati dallo stesso intento, raccontare in un largo affresco la storia della Spagna durante e dopo la guerra civile.
“Episodi di una guerra interminabile” li definisce l’autrice, dandoci il senso dell’importanza e dell’attualità del suo progetto, un progetto ambizioso che non sarà facile portare a termine senza perdere lungo la via molti lettori. Vero é però che per gli spagnoli ancora oggi le ferite di quegli anni non sono del tutto cicatrizzate e l’interesse del pubblico é in questo senso assai vivo. La guerra e il dopoguerra sono infatti un leit motif di tanta letteratura iberica e la stessa Grandes dichiara nella sua postfazione di provare un’ossessione sentimentale, quasi patologica per la guerra civile.
Il romanzo si svolge nella Spagna rurale, in un villaggio di montagna dell’Andalusia, nel triennio del terrore (1947-49), periodo in cui il regime franchista scatenò una pesante repressione per sradicare l’appoggio dei civili e dei contadini alla guerriglia
comunista diffusa nelle campagne.
Il protagonista è Nino, un bambino di nove anni che vive con la famiglia in una caserma della provincia di Jaen; suo padre infatti fa la guardia civile ed é un brav’uomo, arruolatesi quasi per caso, costretto dalle circostanze a muoversi su un territorio pericoloso in cui s’intrecciano storie e segreti, rivalità antiche e non sopite passioni politiche. Attraverso la lettura e gli incontri con personaggi positivi quale Pepe il portoghese e le donne del podere delle Bionde, il piccolo Nino riesce a superare i traumi della vita in caserma, dove vede e sente cose tremende, e anche le violenze esterne, gli scontri a fuoco, le esecuzioni.
L’eroe locale è il guerrigliero Cencerro, che dopo una strenua resistenza si suicida per non cadere nelle mani della guardia civil e la pagina in cui è descritta la sua morte è una delle più toccanti del libro.
“Quando Cencerro e Crispin intonarono a gran voce l’Internazionale, il tenente colonnello Marzal bestemmiò. In quel momento si rese conto che invece di vincere quella battaglia l’aveva già persa, perchè ci sono morti che valgono più di tante vite messe insieme. E capì che Crispin e Cencerro stavano per morire, si stavano accomiatando, ma che loro non erano riusciti a eliminarli, perchè sarebbero nati tanti bambini che si sarebbero chiamati Tomàs e avrebbero avuto fratelli battezzati Josè Crispin, e prima o poi tutti loro avrebbero scoperto la ragione per cui portavano quei nomi.”
Nino, legge, ascolta gli adulti, si guarda intorno, riflette e cresce, riuscendo infine a liberarsi dai condizionamenti e a farsi una propria idea della realtà. Non solo un romanzo storico, quindi, ma anche un romanzo di formazione e di atmosfere, che lo stile ricco e immaginifico dell’autrice arricchisce di molteplici suggestioni, di passione politica e di impegno civile. Di questi tempi scusatemi se è poco.