Iris Origo - Allegra la figlia di Byron

Iris Origo
Skira, 2014, pp. 12
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 167)


Ho letto questo piccolo libro senza sapere nulla della sua autrice, che mi ha subito conquistata per lo stile sobrio ed elegante con cui è riuscita a narrarci una storia commovente e dolorosa qual è quella della piccola Allegra Byron, morta a soli cinque anni, nella solitudine di un convento ravennate, dove era stata rinchiusa dall’egoismo dei grandi che avrebbero dovuto occuparsi di lei

Allegra era nata da una fugace relazione tra il grande poeta e Claire Clarmont, giovanissima sorellastra di Mary Shelley, che invaghitasi più del mito che dell’uomo, lo aveva inondato di missive, senza ricevere risposta, fino a giungere alla precisa proposta di un appuntamento amoroso; stavolta ovviamente Byron rispose, e il frutto dell’incoscienza di lei e dell’egoismo superficiale di lui fu una bellissima bambina. La madre dopo un anno l’affidò al padre, sperando che egli potesse garantirle una educazione migliore, e per rispetto di una ipocrita morale ottocentesca che voleva comunque allontanato il frutto della colpa. Convenzioni tremende, rispettate anche nel circolo anticonformista e ribelle degli Shelley e di Byron, che arriva nelle lettere all’amico a indicare la figlia come “la bastarda”.
Uno degli elementi d’interesse del libro è infatti la descrizione documentata e partecipe di quel gruppo di giovani intellettuali di genio, vita illuminata da viaggi, incontri umani, esperienze letterarie di rara intensità, ma anche tormentata da malattie, morti infantili dei tanti bambini che casualmente venivano al mondo, morti precoci degli adulti, da Shelly che morì annegato a trent’anni, a Keats devastato dalla tisi, a Byron che la malaria si porterà via nelle paludi di Missolungi poco tempo dopo.
Tutto questo Iris Orego lo racconta con partecipazione e pacatezza, con una scrittura piana e raffinata, evidenziata anche dalla traduzione accurata. L’autrice era infatti di origini angloamericane, ma trascorse quasi tutta la vita in Toscana, nella bella tenuta in Val d’Orcia che aveva acquistato con il marito negli anni ’20.
Fu lì che vennero al mondo i suoi tre figli e la morte del primogenito a otto anni spiega certamente la sua sensibile attenzione verso la triste sorte di Allegra e dei bimbi degli Shelly. Ma l’Origo fu anche una attenta studiosa della sua terra di adozione. I saggi e le biografie prodotte in quegli anni dimostrano come una accurata ricerca e l’amore per il proprio territorio possano produrre testi da leggere piacevolmente alla stregua di un buon romanzo.
In essi Giacomo Leopardi, Marco Datini, san Bernardino da Siena ci vengono descritti da originali visuali, a testimonianza anche dell’amore per la cultura della sua patria d’adozione. Ma sono soprattutto l’autobiografia
Immagini e ombre e il diario degli anni del secondo conflitto mondiale Guerra in Val d’Orcia, che la videro impegnata in un’opera di soccorso alla popolazione e di aiuto ai partigiani e ai militari alleati al passaggio del fronte, i suoi lavori più interessanti.