A. Cucchi - Memorie di una lettrice

Editore: Pacini Fazzi, Lucca, 2007
Recensione: Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 139)
marzo-aprile 2009


Ha avuto coraggio, la Signora Cucchi, a cimentarsi a ottantatre anni in un’opera prima, un’autobiografia per di più, genere difficile da affrontare più di ogni altro, perché certamente troppo frequentato e dalle donne in particolare.
In questo caso però valeva la pena osare; l’autrice aveva qualcosa da dire e soprattutto sapeva come farlo. Il risultato é stato questo libro di ricordi vivace e scorrevole, colmo di citazioni e di cultura senza mai essere pedante, ricco di sentimenti e di calore umano, senza mai cadere nella svenevolezza.
Filtrata attraverso i pensieri e le immagini che le tornano alla memoria durante la rilettura dei suoi classici preferiti, la lunga vita di Anna si ricompone gradualmente dinnanzi ai nostri occhi.
Ricordi improvvisi, sensazioni, luoghi, incontri che sono stati per lei particolarmente significativi, si succedono finendo per incastrarsi come in un grande puzzle a formare la sua esistenza.
Si parte dalla infanzia borghese, in una grande casa alla periferia di Lucca, per passare agli studi, alla scoperta della lettura, passione che l’accompagnerà fino ad oggi, alle amicizie e gli amori, all’esperienza della guerra che sfiora soltanto la sua esistenza protetta; sono gli anni che coincidono con la scoperta dei classici, i russi, Tolstoi in particolare, poi il romanzo inglese, Stendhal, Balzac. Infine nel dopoguerra inizia la fase della sua maturazione, con la scelta dell’impegno politico, l’insegnamento, il matrimonio, la maternità.
La vita di una donna attiva, ricca di affetti e di interessi si dipana pian piano dinanzi ai nostri occhi. Partendo dalla sua personale esperienza possiamo così risalire ad una più ampia valutazione di quello che é stato il percorso compiuto dalla donne nella seconda metà del ventesimo secolo, perché Anna grazie all’ambiente aperto e progressista in cui é vissuta ma soprattutto alle sue scelte di vita e al suo carattere vitale e autonomo ha precorso in qualche modo i tempi ed é rimasta giovane dentro anche in età avanzata.
Per questo forse, pur appartenendo alla generazione nata nel dopoguerra, l’ho sentita vicina più delle giovani coetanee dei miei figli, nati negli anni ’70. Le sue problematiche, il suo modo di affrontare i rapporti familiari, le tensioni domestiche, l’educazione dei figli, le ho in buona parte condivise e conosciute sulla mia pelle.
Mi appartiene, come a molte mie amiche, il suo desiderio di autonomia, il rifiuto di stereotipi legati a una falsa mistica della maternità che oggi invece mi sembra purtroppo tornata assai in voga; eppure anche noi desideravamo figli, ne facevamo anche piú di adesso.
Ma come lei scrive : “In nessun modo volli che le gravidanze cambiassero qualcosa della mia vita...con chiunque mi trovassi parlavo ostentatamente d’altro...I corredini? Dio me ne guardi... Ora mi chiedo se ho sbagliato tutto, se sono stata una donna sbagliata, una madre sbagliata.”
Anche questo ce lo chiediamo in molte, ma io ho sempre pensato che già nel dubbio ci sia una scintilla di positività. E poi come non condividere quello che scrive sulla condanna che in tante ci autoinfliggiamo di una continua faticosa opera di mediazione tra i componenti delle nostre famiglie (e quando se ne accorgono gli uomini non ce ne sono affatto grati).
“Anche nelle conversazioni seguivo l’andamento, avvertivo pericoli, sviavo il discorso con un mio intervento non appena percepivo che si entrava in un terreno rischioso per la sensibilità dei presenti... Era questo il materno? Se lo era io ne ero tutta impastata. Io come Mrs. Ramsay, mi facevo carico dell’esistenza di quelli che mi circondavano, e ne vivevo tutte le ansie.”
Quanto opportuna la citazione di Gita al faro! La letteratura é servita a razionalizzare i propri problemi, a porre ordine dove non c’era, a non sentirsi soli davanti alla vita. Quel che ci accade é giá successo ad altri, ed altri ne hanno scritto trasformando in arte la nostra quotidianità.