S. Ryser - Gli spettri di Marie

Edizioni Tufani - Ferrara, 2009
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 145)
marzo-aprile 2010

Con Maries Gespenster (Gli spettri di Marie) la giovane autrice zurighese Simona Ryser firma un romanzo davvero interessante. Ottimamente tradotto da Emanuela Cavallaro, ci viene proposto dalle edizioni Tufani, dopo aver vinto alcuni premi importanti, tra cui il Prix Rauriser per la migliore opera prima.
É un piccolo libro inconsueto, formato da tanti capitoli brevi, apparentemente slegati che poi finiscono con l’intrecciarsi formando un’unica storia. Due piani paralleli vi si intersecano in un continuo gioco di rimandi e allusioni. Da un lato frammenti di ricordi del passato, dall’altro il presente con il suo confuso, difficile fluire.
Sta al lettore trovare la strada in questo labirinto, aiutato dai tanti lievi segnali lasciati da Marie.
La giovane Marie percorre il reticolo di strade di una grande città cercando invano di calmare le proprie ansie; in viaggio sul bus o a passeggio per le strade sempre le viene incontro l’immagine di sua madre, morta e sepolta ormai da tempo. Con affanno ricompone nella memoria i ricordi di lei, cercando di penetrarne il senso più profondo.
La sua vita scorre scandita da gesti abituali, da piccoli rituali di cui si fa scudo. Sa nel suo intimo di essere a un passo dalla depressione e forse dalla follia. Ha però un’ancora potente a cui aggrapparsi, la musica che adora e che è il leitmotif di tutto il romanzo. È nell’incontro con la musica e con il canto, passioni reali per l’autrice trasmesse alla protagonista, che Marie riesce finalmente a oggettivare il suo disagio e a superarlo, aprendosi anche all’amore per Wolf .
La funzione catartica dell’esperienza musicale appare pienamente quando Marie va all’Opera ad assistere alla rappresentazione del Woyzeck di Berg. La storia tragica del povero soldato che accecato dalla gelosia uccide la propria amante, anche lei un’altra Marie, si sublima nella musica del grande compositore viennese (degenerata fu definita dai nazisti e come tale messa al bando e distrutti tutti gli spartiti a cui poterono arrivare!), nella poesia del superbo libretto di Buchner. Nonostante il finale drammatico l’arte rasserena gli animi.
“La Marie era piaciuta molto a Marie che applaudì felice e batté addirittura un po’ i piedi quando lei si presentò sul palco davanti al sipario. Marie non è morta. È davvero forte, le sussurrò Wolf, e Marie assentì a voce alta, hop hop, tua madre è morta, hop hop, i bambini coi loro cavallucci di legno uscirono davanti al sipario, il sangue era in realtà un laccio rosso intorno al collo e la luna color sangue era la luce di un riflettore sul pavimento....”
Il senso del ritmo e della melodia influiscono visibilmente sulla prosa della Ryser, che ha studiato canto per anni, ricca di onomatopee e di raccordi musicali; assai difficile, suppongo tradurla dal tedesco, ma nell’ottima versione della Cavallaro riusciamo comunque a coglierne l’eco. Sicuramente sull’autrice ha influito anche la lettura del Woyzeck di Buchner con la sua prosa asciutta e crudele, incredibilmente moderna come del resto la trama, pur risalendo ai primi dell’Ottocento.
Questo libro costituisce quindi un’ottima occasione non solo per una piacevole lettura, ma anche per riavvicinarsi a questi due classici della cultura mitteleuropea; l’opera di Berg in particolare, così struggente e attuale nella sua complessa struttura musicale, magari nella bella interpretazione di Daniel Barenboim. È infatti nella scena finale del terzo atto che risiede la chiave di lettura del testo, che chiude l’opera con il girotondo dei bimbi intorno al piccolo figlio di Wozzeck che caracolla sul suo cavalluccio di legno: “Hop. hop - canta una voce infantile - Hop, hop...”