A. Foa - Diaspora, storia degli ebrei nel '900

Editore: Laterza, Bari 2009
Recensione:
Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 139)
marzo-aprile 2009


È da poco uscito in libreria edito da Laterza il nuovo libro di Anna Foa, Diaspora, Storia degli ebrei nel Novecento.
Con questo volume l’autrice, docente di storia moderna all’università La Sapienza, si riallaccia idealmente ad un suo importante precedente lavoro Ebrei in Europa. Dalla peste nera all’emancipazione, che ripercorreva la vita delle comunità nel nostro continente dal Trecento all’Ottocento; completa infatti cronologicamente il suo racconto, giungendo fino agli ultimi anni del Novecento, passando attraverso la Shoah e la fondazione dello Stato d’Israele.
Nel titolo, Diaspora, è un po’ la chiave di lettura del libro; infatti é dalla originaria matrice diasporica europea che si sviluppano non solo il grande rigoglio culturale che caratterizza le comunità nel periodo intercorso tra l’emancipazione e la Shoah, ma anche le successive esperienze, americana e israeliana.
Già nel primo volume, l’autrice aveva sottolineato come fin dai secoli precedenti, pur con alterne vicende, fosse esistito un continuo e fertile scambio tra il sapere e le tradizioni ebraiche e quelle dei paesi di residenza. In seguito a partire dai primi dell’Ottocento, il graduale percorso di emancipazione innescò un processo di accelerazione nei rapporti con il mondo esterno, ma fu soprattutto nei decenni a cavallo tra i due secoli che ci hanno preceduti, che la grande cultura ebraica si manifestò con geniale creatività, soprattutto nell’Europa centrorientale.
Basti pensare ai proficui rapporti tra gli intellettuali ebrei e quelli russi o tedeschi a cui dobbiamo sia le esperienze artistiche e musicali che ci rimandano ai nomi di Mendellsonn, Shoenenberg, Chagall, che quelle scientifiche con Freud e Einstein; senza dimenticare la presenza costruttiva di tanti artisti e professionisti in ruoli intermedi ma importanti, scrittori, giornalisti, attori, direttori d’orchestra, ricercatori.
Con particolare attenzione viene esaminata la condizione degli ebrei russi, gli ultimi ad ottenere la parità giuridica, che proprio perché rimasti esclusi dall’emancipazione usavano prevalentemente la propria lingua, l’yiddish, ed elaborarono una teoria politica, il sionismo, che era la negazione del processo d’integrazione e d’inserimento e che metteva in dubbio la possibilità di vivere all’interno della diaspora.
Mentre nell’area ad influenza tedesca “...il mondo ebraico intraprende alla fine del Settecento un percorso di intenso rapporto con il mondo esterno che nutre e accompagna il processo di emancipazione politica..”  in Russia “posto di fronte al muro del rifiuto dell’uguaglianza, elabora un pensiero rivoluzionario e dà alla propria identità una connotazione nazionale.”
L’emigrazione in America di molti ebrei orientali, intensificatasi dopo il fallimento della rivoluzione del 1905, diede vita a comunità del tutto diverse da quelle dei luoghi di origine; si creò infatti un proletariato urbano formato da operai e commessi, ambulanti e impiegati, che però in pochi decenni salì rapidamente nella scala sociale.
Oggi insieme agli Israeliani, gli ebrei americani costituiscono il secondo polo del mondo ebraico. Dopo gli orrori della Shoah, a cui è dedicato un breve ma intenso capitolo, la diminuzione del numero di ebrei legata principalmente alle persecuzioni, ma anche ad altri fattori, quale l’emigrazione in Israele e l’alto numero di matrimoni misti, ha portato verso una riduzione dell’importanza culturale e sociale della diaspora europea, a cui si contrappongono, più floridi e interessanti, i due nuovi poli comunque generati dalla vecchia matrice comune.
Ormai della grande cultura ebraica del Novecento, che aveva le sue radici nella Mittleuropa ci é rimasto solo il ricordo; ai nomi di Roth, Kafka, Werfel, Canetti si sono sostituiti quelli di Oz, Grossman, Yehoshua.  E chi ama la musica sa bene che sono Israeliani anche i migliori direttori d’orchestra contemporanei, da Barenboim a Imbal che dirige la Fenice di Venezia. Stiamo forse già sentendo la mancanza del lievito della diversità ebraica che ha dato tanti apporti alla civiltà europea?
Impossibile quindi in questo libro non affrontare il delicato argomento della nascita dello Stato d’Israele e dei rapporti con i palestinesi, dalle origini del sionismo fino agli anni settanta.
Con equilibrio ed obiettività Anna Foa ne racconta la storia a partire dagli insediamenti in Palestina nel corso degli anni ’30; descrive l’arrivo in massa dei reduci nel 1946, la rottura con gli inglesi, la fondazione dello stato, le numerose guerre, da quella del ‘48 fino alla guerra dei sei giorni, senza omissioni di comodo, neanche a proposito della questione palestinese. Anzi, dei difficili rapporti tra le due popolazioni ci viene offerto un quadro ampio ed esauriente, ricostruendo fin dagli inizi i motivi di contrasto ed i tanti tragici fraintendimenti.
Diaspora ci ricorda quindi che senza l’apporto della cultura ebraica la civiltà occidentale sarebbe stata diversa; l’alterità che ha scatenato tante persecuzioni è stata infatti nei secoli un seme fecondo, un filo invisibile che legava tra loro le nazioni europee. La fine della tensione universalistica che caratterizzava l’ebraismo europeo, sostituita negli ultimi decenni dalla ricerca delle radici e dall’affermazione della propria individualità, sta lasciando un vuoto in molti campi della nostra cultura.
Che cosa resta degli ebrei d’Europa? Chi è ebreo oggi? A questi che sono i quesiti fondamentali del libro, la risposta dell’autrice é aperta e illuminante. “É forse il momento di pensare a quali valori si vogliono trasmettere, a quali sono soltanto oggetti in una vetrina di museo, a quali possono essere vitali forme identitarie che contribuiscano a costruire il mondo di oggi e ad inventare quello di domani.”