Maria Luisa Busi - Brutte Notizie

Busi

Come l’Italia vera è scomparsa dalla tv
pag. 267 - Rizzoli, 2010

Recensione: Luciana Tufani Editrice - Leggere Donna (n. 152)
luglio-sett 2011

Quando, nel maggio dello scorso anno, Maria Luisa Busi diede le dimissioni dalla prima rete della tv nazionale, appresi la notizia con gioia ma anche con un certo stupore. Da tempo, purtroppo, in questo nostro paese è diventato rarissimo incontrare persone che siano disposte a lasciare posti di lavoro prestigiosi e ben retribuiti solo per difendere i propri principi etici, la dignità personale o professionale.
Non seguivo regolarmente il telegiornale della prima rete nazionale ma ovviamente conoscevo la Busi e l’avevo spesso apprezzata come conduttrice sobria ed equilibrata, anche nel look mai volgare o eccessivo, e soprattutto come giornalista attenta, diretta nel porgere le notizie.
La deriva a cui era andato incontro negli ultimi tempi il giornale, un giornale che era sempre stato espressione del centro-destra, ma che aveva comunque ospitato grandi professionisti, quali Terzani, Volcic, Fraiese, Remondino e Gruber, aveva fatto saltare anche i rari incontri serali che a volte prima mi trattenevano per qualche minuto su Rai Uno. Da quella rete infatti l’Italia reale era scomparsa, sostituita da un ciarpame confuso che mescolava insieme notizie di cronaca nera, sempre utili a seminare insicurezza, ad altre di rosa o peggio di squallido gossip. Si parlava ben poco di politica e quel poco edulcorato e corretto virava verso un ottimismo stucchevole.
Inutile sottolineare a quale partito fosse dedicata la maggior parte del tempo.
Le dimissioni della Busi, che con chiara determinazione ha poi spiegato i motivi del suo gesto, e la sua uscita di scena decisa e senza mezzi termini, sono state in quel clima asfittico una ventata di aria fresca. Certamente per lei non deve essere stato facile esporsi così, mettendo a repentaglio una carriera brillante in un ambiente che non dimentica e non perdona chi contraddice i dettami del potere; c’è voluto del coraggio e questo libro che la Busi ha scritto nei mesi successivi al suo allontanamento dalla Rai ne è la conferma.
Si tratta infatti di una disanima onesta e diretta delle situazioni che hanno provocato questa scelta; la Busi parla di tutto quello che di recente non si è detto nel telegiornale, dei condizionamenti e delle menzogne volte a minimizzare o a nascondere situazioni di disagio e difficoltà nel paese.
Senza peli sulla lingua approfitta della ritrovata libertà per svolgere le sue indagini personali, col fiuto e la passione del giornalista a cui per troppo tempo è stato precluso di fare liberamente il proprio mestiere.
La sua inchiesta sui mali dell’Italia parte dall’Aquila dopo il terremoto ed é drammatica la sua ricostruzione dei fatti, non solo per la descrizione di quel che vede, ma anche per la narrazione del dietro le quinte, delle condizioni in cui inizia e si sviluppa il lavoro dei giornalisti. Ormai scrive ”siamo di fronte a un salto di qualità nell’assoggettamento dell’informazione alla politica che nel lungo periodo vedrà tutti perdenti.”
Si taglia sull’indipendenza professionale, ma anche sui fondi e sulle spese. Ad esempio i vecchi operatori di grande esperienza “alcuni venivano dal cinema, molti erano dei veri principi della ripresa” sono stati sostituiti da ragazzi mal pagati che si guadagnano da vivere lavorando a giornata, con macchine scassate, spesso nemmeno assunti, spremuti come limoni per poco più di mille euro al mese.
Soprattutto però colpisce il ritratto degli aquilani dignitosi, ma giustamente infuriati, gente perbene appartenente a tutte le classi sociali, che circonda la troupe televisiva, cui chiede giustizia, verità e visibilità.
La Busi può quindi vedere personalmente, toccare con mano una realtà negata per mesi, constatare di persona la fine di un patto, tra “loro” quelli del primo telegiornale italiano e il “loro” pubblico.
È forse lo strappo che le è costato di più, facendo pesantemente inclinare la bilancia al momento delle dimissioni arrivate a maggio; dopo vent’anni di collaborazione intensa e impegnata devono aver rappresentato un cambiamento pesante nella sua vita, ma certamente anche una liberazione da lacci ormai troppo stretti e da condizionamenti impellenti.
Riacquistata la propria libertà, può ripartire con inchieste su argomenti che le stanno a cuore e che da tempo le erano preclusi, e pensare al libro che presto vedrà la luce e che ora abbiamo tra le mani.
La condizione delle donne, il precariato, la disoccupazione giovanile, temi scomodi, che l’ottimismo di regime ha bandito dalla televisione, sono gli argomenti che affronta per primi. Ritorna al vecchio giornalismo d’inchiesta, compra semplicemente Porta Portese, fa qualche telefonata e il mondo dei disperati in cerca di una qualunque occupazione le appare davanti in tutto il suo squallore. La nuova povertà, il dramma dei giovani, delle persone di mezza età che non riescono a rientrare nel mondo del lavoro, le fabbrichette chiuse o trasferite all’estero, ma anche le grandi aziende che delocalizzano, ristrutturano, licenziano. Cosa è successo all’Alitalia di cui nessuno parla più? O alla Ericsson, alla Carbonsulcis?
È nato così questo libro, interessante, impegnato, ben scritto, in cui alla ricca documentazione si unisce un’accorata partecipazione personale, e che chiarisce molte delle tristi dinamiche dell’odierno giornalismo televisivo È un testo ben strutturato, chiaro e convincente e davvero stupisce che si tratti di un’opera prima.